Un corso per insegnare ai cani ad aiutare i disabili. Il Progetto “ConFido”, nato in America, è approdato a Rebibbia Femminile con ottimi risultati
L’idea è semplice, prendersi cura di un cane, il migliore amico dell’uomo a cui non importa se sei bello, brutto, o detenuto, e insegnargli anche ad essere utile a chi è costretto a vivere su una sedia a rotelle.
Un’idea semplice ma dalle molteplici finalità, che sta alla base del Progetto “ConFido”, un progetto di educazione cinofila in carcere che si sta svolgendo con ottimi risultati nell’istituto romano di Rebibbia Femminile. Tutto ebbe inizio nel 1981 negli Stati Uniti, da una intuizione di Pauline Quinn, una suora domenicana, animata dalla passione per i cani che ha lanciato il “Prison Dog Program”.
«Spero di essere tanto buono quanto pensa il mio cane», recita così un cartello, scritto da un detenuto e affisso davanti al penitenziario di Mansfield in Ohio (USA) a riprova del particolare rapporto che si viene ad instaurare tra il cane e il suo padrone. Oggi il “Prison Dog Program” è diffuso in una ottantina di istituti penitenziari statunitensi, con il risultato, tra l’altro, di aver ridotto del 40 per cento, secondo un sondaggio Usa, la violenza nelle carceri. In Italia il Progetto è approdato, appunto, a Rebibbia, dove dal marzo scorso si tiene il primo corso di formazione per addestratori di cani da assistenza per disabili.
La versione italiana di questo progetto si deve al noto addestratore di cani, alcuni dei quali diventati famosi in spot pubblicitari e sceneggiati tv, Massimo Perla, e a Sirio Paccino, Presidente dell’Associazione “ConFido”.
«Mettere la mia professionalità e la mia passione al servizio di uno scopo realmente utile è sempre stato il mio sogno – dice Perla –. In questo progetto, infatti, il cane diviene il tramite tra il detenuto, che in questo modo viene stimolato dalla responsabilità del compito affidatogli e che impara un mestiere utile per il suo reinserimento nella società, e il disabile che viene così aiutato dal cane a superare le difficoltà pratiche di tutti i giorni. Ma anche il cane viene aiutato perché nella maggior parte dei casi si tratta di esemplari che vengono presi dal canile comunale e sottratti così ad una vita di solitudine e di stenti. Dopo l’addestramento il cane, infatti, vene affidato ad una famiglia». Ecco quindi le molte finalità del progetto.
Un cane ben addestrato non diventa solo l’amico del cuore, ma può diventare gambe per chi non può camminare, occhi per chi non può vedere, orecchie per chi non può sentire. «Accendere e spegnere la luce – spiega Sirio Paccino – togliersi un calzino o semplicemente stendere le gambe sul letto possono diventare gesti molto complicati da compiere per un disabile. Ma non si tratta poi solo di un aiuto pratico, la gioia e l’affetto disinteressato di questi amici a quattro zampe possono rappresentare lo stimolo a superare momenti di difficoltà».
Il corso, partito solo a marzo a causa dei numerosi ostacoli incontrati (impossibilità di tenere i cani in strutture che non prevedono box o luoghi dedicati specificatamente a loro, la necessità degli agenti di seguire tutti gli spostamenti delle detenute), comprende sei detenute, otto istruttori e tre cani che lavorano insieme sotto la supervisione dell’addestratore, quattro volte alla settimana in un campo di addestramento e in una zona appositamente realizzata per il lavoro con la sedia a rotelle. Le lezioni sono sia pratiche che teoriche con materie quali la conoscenza del comportamento e del linguaggio del cane, l’importanza del gioco nel suo apprendimento e gli esercizi di obbedienza. In futuro, inoltre, sono previste anche lezioni di agilità dog, disciplina che consiste nel far percorrere al cane un percorso ad ostacoli nel minor tempo possibile sulla base di determinati comandi.
Free, Reb (diminutivo di Rebibbia), Tomak, sono alcuni dei trovatelli a quattro zampe, tolti al canile e addestrati dalle detenute di Rebibbia ad assistere i disabili in carrozzelle, incoraggiati dalle coccole delle loro nuove padrone.
«Il lavoro con i cani mi ha riempito il cuore – confessa una delle detenute che hanno preso parte al Progetto –. Avevo cominciato per curiosità ma poi sono prevalsi la passione e l’affetto. Se prima passavo quasi tutto il mio tempo in sezione, oggi sto quasi sempre all’aria aperta».
E un’altra aggiunge: «Quando esco spero che Massimo Perla mi faccia lavorare con lui». Perché, come si è detto, il rapporto tra uomo e cane in carcere diventa ancora più speciale e oltre a fare bene alla mente e all’anima del detenuto, gli consente di imparare un mestiere che gli potrà sicuramente essere utile una volta scontata la pena.
Tra i quadrupedi, intanto, il primo a trovare alloggio e occupazione fissa è stato Free, che dopo l’addestramento a Rebibbia è stato affidato ad una simpatica signora inglese, Clare Cuzzer, da molti anni in Italia, e molto desiderosa di avere un amico a quattro zampe. Ma molti altri ne seguiranno, perché siamo solo agli inizi. E si spera che il Progetto “ConFido” possa decollare presto anche in altri istituti penitenziari.